Il problema rilevato
L’articolo 1, comma 243, della Legge n. 232 del 2016 ha modificato il testo dell’articolo 24-bis contenuto nel decreto-legge n. 83/2012, introducendo l’obbligo di comunicazione per gli operatori economici che decidano di localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività di call center in un Paese non membro dell’Unione europea. La nuova formulazione dell’articolo 24-bis, in vigore dal 10 gennaio 2017, comporta un ampliamento della platea dei soggetti nei cui confronti la norma viene applicata (operatore economico che eroga servizi di call center, indipendentemente dal numero dei dipendenti occupati, tanto tramite una struttura interna all’azienda quanto in outsourcing), nonché una modifica delle fattispecie di violazioni sanzionabili e dell’importo delle sanzioni.
Successivamente, con l’articolo 5 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, sono state introdotte delle norme destinate a sanzionare le imprese italiane o estere che operano sul territorio nazionale e che, dopo aver avuto accesso ad aiuti di Stato per gli investimenti, decidono di delocalizzare in Stati extra Ue l’attività produttiva, oppure di ridurre i livelli occupazionali, con la decadenza dal beneficio fruito e la restituzione maggiorata degli interessi.
Nonostante tale normativa, alcune imprese vengono meno agli obblighi prescritti dalle disposizioni citate, ciò a detrimento della tutela dei diritti dei lavoratori.
Un’altra problematica riguardava le attività di call center, che come noto, sono state oggetto negli ultimi decenni di ampie forme di esternalizzazione del servizio anche e, soprattutto, da parte delle pubbliche amministrazioni. Nell’ambito di tali operazioni è, infatti, tipico il ricorso alla stipula di contratti di appalto per l’affidamento del servizio ad una nuova impresa, con conseguente problematica di garantire la prosecuzione dell’attività lavorativa dei lavoratori coinvolti, una volta scaduto il contratto.
A tutela della stabilità occupazionale dei lavoratori coinvolti, nel caso di cambi di appalto nel settore dei call center, vige la cosiddetta «clausola sociale», di cui all’articolo 1, comma 10, della legge n. 11/2016, secondo cui: «In caso di successione nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, il rapporto di lavoro continua con l’appaltatore subentrante…». Si elimina così il rischio, spesso frequente nella pratica, di esclusione dell’obbligo di riassunzione qualora il nuovo appaltatore applichi un contratto collettivo non contenente l’obbligo di riassunzione. La norma però prosegue affermando che ciò avverrà «secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale». Ebbene, questa disposizione rinviando ai CCNL, sembra smentire la possibilità di configurare un passaggio diretto dei lavoratori alle dipendenze del nuovo appaltatore, visto che (per giurisprudenza pacifica) le clausole sociali di origine negoziale comportano sempre comunque la cessazione del rapporto di lavoro e la successiva riassunzione da parte del nuovo datore.
È evidente, quindi, che la norma pone una serie di problemi applicativi della clausola sociale. In primo luogo, occorre, infatti, capire quali contratti collettivi devono essere considerati, visto che la disposizione non specifica alcun parametro per individuarli (ad esempio, il settore cui si riferiscono le prestazioni di call center). Bisogna, tra l’altro, considerare che le attività di call center non sono interessate da specifiche forme di contrattazione collettiva, ma rientrano in settori più generali come quello delle telecomunicazioni o, se si guarda alle aziende che normalmente offrono tali servizi, nel multiservizi. E, infine, sembrerebbe vigere non un obbligo, ma una libertà di scelta dell’appaltatore confermata dall’espressione utilizzata dal comma 10, ove fa riferimento ai contratti collettivi «applicati» dallo stesso, e non a quelli che a questi dovrebbero essere applicati. Vi è, a tal proposito, il problema di individuare il CCNL cui fare riferimento. Ecco dunque che, in assenza di chiarimenti circa la esatta portata della norma, sussisterebbe un margine per l’impresa subentrante di applicare un contratto collettivo con condizioni di riassunzione più vantaggiose per la stessa.
Come sono intervenuta
A seguito delle criticità rilevate, ho provveduto in data 30/10/2019 a presentare un ordine del giorno durante l’esame alla Camera del decreto legge n. 101/2019 recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali, per impegnare il Governo: a) a rafforzare, in materia di delocalizzazioni, i controlli nei confronti degli operatori economici; b) e, con riferimento al fenomeno delle esternalizzazioni delle attività dei call center, a chiarire l’esatta portata interpretativa e applicativa della cosiddetta «clausola sociale», nonché delle condizioni e delle modalità con le quali la continuazione dell’attività lavorativa dovrà realizzarsi in caso di cambio di appalto, ciò a tutela della stabilità occupazionale dei lavoratori.