Grazie, Presidente.
Rappresentante del Governo, colleghe, colleghi finalmente oggi approda in Aula, alla Camera dei deputati, la tanto attesa riforma che mira a restituire efficienza al processo civile. Dico “finalmente” perché ricordo a me stessa che il disegno di legge, a firma dell’ex Ministro Bonafede, approvato in Consiglio dei Ministri nel dicembre 2019 durante il Governo “Conte 2”, venne trasmesso al Senato già il 9 gennaio 2020. Dunque, la volontà politica e l’urgenza di intervenire sui tempi e sulle disfunzioni del processo civile era sentita anche dal precedente Governo ed era esigenza già emersa ben prima dell’avvento del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Che un processo civile lungo, disfunzionale e antieconomico danneggi la certezza dei rapporti giuridici e provochi inevitabilmente la paralisi di capitali ed effetti pregiudizievoli all’economia è, infatti, circostanza riconosciuta da tutti e su cui tutti siamo d’accordo. Ed è, allora, proprio il comune sentire, il comune obiettivo della velocizzazione e semplificazione che consente un approccio alla riforma del processo civile assolutamente laico, potremmo dire, quindi scevro da qualsiasi pregiudizio ideologico. Il processo civile non sarà mai un campo di battaglie identitarie, ma sarà piuttosto occasione per misurarsi con la tecnica, ma, soprattutto e prima ancora, con l’esperienza di chi, da operatore di diritto, magistrato, avvocato, ma anche cancelliere, frequenta quotidianamente le aule di un tribunale. È per questo che il mio intervento, che pure muoverà qualche rilievo critico, avrà un taglio più tecnico che politico, volto ad evidenziare quanto di buono e di nuovo vi è in questo provvedimento al nostro esame, ma senza tacere quei profili che un po’ ci impensieriscono o addirittura preoccupano, auspicando che in fase di redazione dei decreti legislativi il Governo tenga conto delle sollecitazioni che arriveranno in questa sede. Non abbiamo apportato correttivi e integrazioni al testo in questa fase proprio per garantire la speditezza dell’iter di approvazione definitiva della riforma in cui crediamo, ma possiamo e vogliamo dare un contributo costruttivo ad una riforma che per la sua importanza – non possiamo negarlo – forse avrebbe meritato anche in questo ramo del Parlamento un maggiore dibattito e un maggiore approfondimento.
Ma entriamo nel merito della riforma: l’impianto del disegno di legge presentato dall’ex Ministro Bonafede è stato in parte rilevante mantenuto. Il testo originario, infatti, oltre ad interventi di tipo chirurgico su specifici istituti, si muoveva sostanzialmente lungo due direttrici: da una parte, una serie di previsioni dirette a potenziare gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, con l’obiettivo di portare il contenzioso al di fuori del processo, così alleggerendo gli uffici giudiziari; dall’altra parte, l’unificazione e semplificazione dei riti, con la previsione di un unico rito ordinario, introdotto con ricorso e disciplinato da tempi certi e più contenuti. Veniva prevista, conseguentemente, l’abrogazione del rito sommario di cognizione e il superamento degli altri procedimenti speciali previsti dal codice di procedura civile, dal codice civile o da leggi speciali. La riforma Cartabia ha mantenuto integralmente tutte le disposizioni volte a rafforzare gli strumenti alternativi alla giurisdizione, come la mediazione civile, la negoziazione assistita e l’arbitrato, andando così nella medesima direzione perseguita dall’ex Ministro Bonafede e da tutto il MoVimento 5 Stelle. È stata mantenuta una delle novità più rilevanti dell’originario impianto dell’ex Ministro Bonafede, ovvero la possibilità di svolgere attività di istruzione stragiudiziale da parte degli avvocati nell’ambito della procedura di negoziazione assistita e la previsione che le prove così raccolte possano essere utilizzate nell’eventuale successivo giudizio avente ad oggetto i medesimi fatti. Sono stati recepiti in Senato alcuni nostri emendamenti importanti: quello sull’introduzione di un testo unico che raccolga in modo sistematico tutte le discipline degli strumenti complementari alla giurisdizione e le armonizzi; l’emendamento sulla possibilità di produrre, se preventivamente stabilito da tutte le parti, la consulenza tecnica espletata dall’esperto nominato dal mediatore nell’eventuale successivo giudizio. Sono stati recepiti i nostri emendamenti in tema di arbitrato volti a rafforzare le garanzie di imparzialità e di indipendenza dell’arbitro e ad attribuire, ove espressamente previsto nella convenzione di arbitrato, poteri cautelari agli arbitri. È stata inoltre recepita la sollecitazione, anche da me personalmente formulata con un’interrogazione, di incentivare la mediazione rendendo più semplice ed effettiva la procedura per ottenere il credito d’imposta e di agevolarla anche con riconoscimento di ulteriori agevolazioni fiscali. Importantissima e assolutamente condivisibile è poi la previsione dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti anche ai procedimenti di mediazione e di negoziazione assistita. Invece non condividiamo la scelta di far ricadere, sia pure in via eventuale e residuale, ovvero solo in caso di superamento del limite di spesa stabilito, l’onere economico di queste nuove previsioni su chi decide di accedere alla giurisdizione attraverso un aumento del contributo unificato, e questo non possiamo tacerlo. Opportuna, e anzi assolutamente necessaria, invece, è la previsione secondo cui la conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale non potrà essere fonte di responsabilità contabile per i rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, salvo che per il caso di dolo o colpa grave. Così finalmente anche le pubbliche amministrazioni verranno a sedersi ai tavoli della mediazione e potranno addivenire a soluzioni transattive senza dover attendere le sentenze. Fino ad oggi, infatti, ad esempio i comuni non concludono quasi mai accordi transattivi prima o durante il giudizio, anche quando l’esito sfavorevole sia ampiamente prevedibile, ma trascinano il contenzioso fino a sentenza definitiva, perché chi dovrebbe autorizzare la sottoscrizione degli accordi ha paura di incorrere in responsabilità contabile.
Molto attesa anche la previsione che consente, con riguardo alla sola materia familiare, che gli accordi raggiunti in sede di negoziazione assistita possano contenere anche patti di trasferimenti immobiliari con effetti obbligatori, nonché l’estensione della negoziazione assistita, quindi del campo di applicazione della negoziazione assistita in materia familiare. Un po’ meno opportuna e forse rischiosa, se non verrà ben chiarita, appare, invece, la previsione secondo cui sia rilevante, al fine della valutazione della carriera dei magistrati, la loro propensione alla mediazione demandata. Non appare francamente un approccio corretto incentivare i magistrati a spogliarsi del contenzioso una volta investiti della controversia; appare, piuttosto, più corretto incentivare i magistrati a verificare la mediabilità di ogni controversia pendente innanzi a loro e valorizzarne la propensione a formulare essi stessi proposte conciliative che possano definire il giudizio senza arrivare a sentenza. E proprio in questa direzione va il nostro emendamento, presentato al Senato e recepito nella riforma, che, ampliando il campo di applicazione dell’articolo 185-bis del codice di procedura civile, dà al giudice la possibilità di formulare una proposta di conciliazione fino al momento in cui trattiene la causa in decisione. Nella medesima direzione andava, a dire il vero, anche un altro emendamento in tema di procedimenti di istruzione preventiva, che però non è stato recepito e che prevedeva l’assunzione preventiva di una prova testimoniale anche al di fuori delle condizioni di cui all’articolo 692 del codice di procedura civile, al precipuo fine di addivenire alla immediata composizione bonaria della lite, e l’introduzione, nel procedimento di consulenza tecnica preventiva, di un’udienza di comparizione personale delle parti dopo il deposito della relazione del consulente tecnico d’ufficio, al fine di consentire al giudice di formulare una proposta conciliativa sulla base degli esiti della consulenza tecnica. Noi del MoVimento 5 Stelle crediamo molto in queste soluzioni, e quindi preannuncio che presenteremo un ordine del giorno su questo tema, auspicando che possa trovare accoglimento presso il Governo al momento della stesura dei decreti legislativi.
Sin qui, dicevo, la riforma Cartabia si è sostanzialmente mossa sul solco del disegno di legge presentato dall’ex Ministro Bonafede. Quanto all’intervento in materia di processo di cognizione di primo grado, la riforma Cartabia non procede invece all’unificazione dei riti, anzi, consolida il rito sommario di cognizione, estendendone il campo di applicazione, ribattezzandolo procedimento semplificato di cognizione, prevedendone l’adozione, sembrerebbe anche d’ufficio, quindi con mutamento di rito d’ufficio, quando i fatti di causa siano tutti non controversi, quando l’istruzione della causa si basi su prova documentale o di pronta soluzione o richieda un’attività istruttoria costituenda non complessa. Rileviamo che non si comprende come l’adozione d’ufficio, quindi il mutamento d’ufficio, di tale rito possa conciliarsi però con la scelta operata di prevedere per il rito ordinario l’anticipazione di tutta la fase introduttiva della causa, in cui si dovrebbe fissare il thema decidendum e il thema probandum, in un momento precedente rispetto all’intervento del giudice. Per come viene congegnato oggi, con la riforma, il rito ordinario, a ben vedere, il rito semplificato di cognizione potrà essere adottato solo se scelto dal ricorrente, perché il giudice nel rito ordinario ormai interverrà solo quando le difese saranno cristallizzate e le preclusioni tutte maturate, sicché non potrà più provocarsi alcuna accelerazione della fase introduttiva della causa, accelerazione tipica del rito sommario di cognizione, almeno per come lo conosciamo sinora.
A proposito della scelta di anticipare lo scambio delle memorie di precisazione delle domande e di eccezioni e delle memorie istruttorie alla fase che precede la prima udienza di comparizione delle parti suggeriamo che sarebbe opportuno, in fase di stesura dei decreti legislativi, prevedere la possibilità per l’attore di provocare l’anticipazione della prima udienza, e quindi l’intervento del giudice, nel caso di contumacia del convenuto, in quanto francamente appare una enorme perdita di tempo far decorrere, in tali ipotesi, ugualmente i termini per lo scambio di memorie. Inoltre, personalmente, devo dire che non so se la soluzione adottata di anticipare lo scambio di memorie in epoca antecedente alla prima udienza possa avere un reale e sostanziale effetto acceleratorio rispetto alla ragionevole durata del processo, a meno che, però, ai soli fini del rilievo statistico, non si voglia sostenere che la celebrazione del processo civile inizi alla prima udienza e non dal momento della notifica dell’atto di citazione o del deposito del ricorso. Se ciò potrà valere per il Ministero, ad esempio per la valutazione della produttività dei magistrati, e magari potrà anche valere per l’Europa, di certo, però, non potrà valere tanto per il cittadino che chiede giustizia, che poi è l’unico per il quale quel tempo è davvero prezioso. L’anticipazione della fase introduttiva potrà avere davvero un effetto acceleratorio solo se i giudici saranno messi nelle condizioni di studiare approfonditamente il fascicolo e arrivare alla prima udienza pronti a emettere in quell’udienza stessa i provvedimenti più opportuni per il prosieguo della trattazione, a decidere quindi subito sulle richieste istruttorie, fissando il calendario per l’espletamento dell’attività istruttoria, o a dichiarare la causa matura per la decisione e disporre l’udienza per la discussione, ex articolo 281-sexies, o l’udienza di rimessione della causa in decisione. È evidente, quindi, che questa nuova scansione temporale richiederà al giudice uno sforzo non indifferente, come, del resto, analogo sforzo di adeguamento rispetto alle novità del processo ordinario di primo grado sarà richiesto agli avvocati. Solo con la collaborazione di tutti gli attori del processo, le nuove previsioni potranno avere effetto acceleratorio, altrimenti temo – temo – che ci sarà solamente un esercizio stilistico, che produrrà pochi cambiamenti, fuorché qualche nuova formula che dovrà essere inserita negli atti processuali. Non vogliamo rischiare che ci sia solo un intervento di forma e poca sostanza, perché, invece, noi auspichiamo interventi di sostanza. Vogliamo – e siamo ancora in tempo per suggerire – modifiche di sostanza; ad esempio, si poteva prevedere l’adozione, su istanza di parte, dell’ordinanza provvisoria di rigetto della domanda proposta, quando il convenuto rilevi, fondatamente, eccezioni preliminari, quali, ad esempio, l’incompetenza, il difetto di giurisdizione o il difetto di legittimazione, attiva o passiva. Questo avrebbe consentito di definire celermente un numero rilevante di cause, perché non è infrequente che un giudizio si trascini per anni, attraverso una lunga fase istruttoria, per poi concludersi con una sentenza che accoglie un’eccezione formulata dal convenuto sin dal primo atto difensivo; una scelta del genere per il cittadino ha un costo elevatissimo in termini di tempo, ma soprattutto di denaro, così come ha un costo, per il cittadino, proporre appello per rimediare ad una omissione del giudice di primo grado, che dimentichi di pronunciarsi su una delle domande proposte. È per questo che avevamo proposto in Senato un nostro emendamento, che non è stato recepito, con cui prevedevamo l’applicazione del procedimento di correzione della sentenza da parte del giudice stesso che lo ha emesso nell’ipotesi in cui quel giudice abbia omesso di pronunciarsi su una delle domande proposte.
Parlavo di interventi di sostanza e, allora, dobbiamo dare un contenuto, una sostanza, anche nel principio di delega, che prevede genericamente di rideterminare la competenza del giudice di pace in materia civile, ma che, al momento, non dice come, se in senso estensivo o restrittivo rispetto all’attualità. Come MoVimento 5 Stelle, abbiamo un’idea ben precisa su come delineare la competenza del giudice di pace e faremo la nostra proposta attraverso un ordine del giorno, che auspichiamo possa essere sostenuto dalle altre forze politiche e accolto dal Governo.
Passiamo ora a quelle che sono un po’ le note – diciamo – dolenti della “riforma Cartabia”: avevo preannunciato che avremmo fatto qualche rilievo anche critico. Allora, desta francamente qualche perplessità l’introduzione del rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Corte di cassazione per risolvere una questione di diritto, sia pure con le seguenti caratteristiche, che sia di particolare importanza, di difficile interpretazione e suscettibile di porsi in numerose controversie. Il rischio che paventiamo è, infatti, una deresponsabilizzazione del giudice di merito e un eccessivo ingolfamento della Corte di cassazione, per non dire poi dell’allungamento della durata di quel processo in cui la questione verrà sollevata, che rimane sospeso fino alla pronuncia della Cassazione. Preoccupa, poi, la previsione secondo cui, nei procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, il giudice possa disporre l’udienza in modalità da remoto, mediante collegamento a distanza, quando la comparizione personale potrebbe arrecare grave pregiudizio per il soggetto destinatario della misura.
Ebbene, noi riteniamo che, in questa ipotesi, dovrebbe essere piuttosto il giudice a recarsi fisicamente presso il domicilio del destinatario della misura per verificarne ictu oculi le condizioni in cui versa il soggetto da tutelare. Ci desta molte perplessità anche la previsione che sia il personale preposto all’ufficio per il processo a redigere le bozze dei provvedimenti: dovrebbero escludersi espressamente i provvedimenti di natura decisoria, o si dovrebbe limitare la competenza alle sole controversie di natura seriale. Anche qui, si tratta di un suggerimento per la stesura dei decreti legislativi; siamo ancora in tempo, ed è un piccolo accorgimento che si può ancora apportare. Ci preoccupano alcune previsioni dal sapore punitivo nei confronti delle parti e degli avvocati, come la disposizione – che è stata già richiamata – per cui si prevede la spropositata condanna, fino a 10.000 euro, in favore della cassa delle ammende per la parte che proponga un’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado ritenuta inammissibile o manifestamente infondata. Così come, infine, ci preoccupa non poco – non poco, devo dire – la parte della riforma che, a sorpresa, va praticamente ad abolire i tribunali per i minorenni. Questa è una preoccupazione, però, che non è solo nostra. Noi abbiamo audito tanti esperti in commissione Giustizia alla Camera su questo profilo e quasi tutti hanno rappresentato una forte preoccupazione; alcuni hanno addirittura lanciato un appello affinché la delega su questo specifico punto – e solo su questo – non venga esercitata o l’intervento venga completamente ripensato. Qual è la criticità che allarma? È un profilo specifico della nuova configurazione del tribunale per i minorenni e le famiglie, ovvero la scomparsa della collegialità e della multidisciplinarietà nei procedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, nei procedimenti di allontanamento dalla famiglia di origine anche d’urgenza e di affidamento extra familiare. Saranno, infatti, tutti questi procedimenti assegnati ad una sezione circondariale del neo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, che giudicherà in composizione monocratica. Un giudice, in completa solitudine, dovrà assumere delle decisioni che hanno un impatto e un coinvolgimento emotivo pesantissimo. Una considerazione personale, poi. In qualche modo, mi allarma anche la totale scomparsa della competenza amministrativa che ha, fin dalla sua istituzione, il tribunale per i minorenni e che caratterizza anche l’intervento del giudice minorile; scompare proprio quando è stata approvata qui alla Camera, in prima lettura, una proposta di legge che, nell’ambito delle iniziative per la prevenzione e il contrasto al fenomeno del bullismo (purtroppo sempre più diffuso tra i nostri giovani), dava nuova linfa e vita proprio alle misure rieducative di natura amministrativa che il tribunale per i minorenni può adottare e di cui, però, in questa riforma non c’è cenno alcuno. E non è questo l’unico intervento in materia minorile all’esame della Camera dei deputati e della commissione giustizia in particolare: da tempo, infatti, è iniziato e procede l’esame di numerose proposte di legge abbinate, in tema di tutela dei minori e di affidamento extra familiare, presentate praticamente da tutte le forze politiche qui rappresentate, che dimostrano una spiccata sensibilità di questo ramo del Parlamento per questa delicata materia e – devo dire – esprimono anche forti convergenze rispetto alle soluzioni da adottare. Ebbene, allora, forse sarebbe stato più prudente lasciare al dibattito parlamentare, peraltro già avviato – che, sì, lo sappiamo, è più lungo, ma sicuramente approfondito, appassionato e ponderato -, la ricerca delle soluzioni più idonee a garantire la tutela dei minorenni, anche attraverso quella migliore razionalizzazione delle competenze del tribunale per i minorenni e una sua migliore organizzazione, che tutti riconosciamo sia necessaria; questo è chiaro ed è importante per tutti, nessuno lo nega. D’altronde, la materia, questa specifica materia della competenza del tribunale per i minorenni non credo imponga la medesima urgenza che impone la regolamentazione dei conflitti tra interessi di natura economica. Il PNRR, di certo, non ci impone questo tipo di riforma, anzi devo rilevare che – poiché la collegialità del giudicante è uno dei presidi riconosciuti dalle convenzioni internazionali in materia minorile -, sul punto la riforma rischia addirittura di essere censurata proprio dall’Europa. Allora, la richiesta e l’auspicio è dunque che il Governo abbia un forte ripensamento su questo specifico punto e magari lasci anche lavorare il Parlamento su questo tema, perché il Parlamento è sensibile. Siamo ormai abituati a dare la fiducia quasi ogni settimana al Governo; sarebbe bello che, per una volta, magari il Governo desse fiducia al Parlamento.